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Schumann Project - From Recital #3

Geister Variationen

Italian commentary © Fabio Grasso

At the end of this page: Video with performance by Fabio Grasso and synchronized formal scheme

 

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L’ultimo periodo della vita matrimoniale di Rober Schumann e Clara Wieck si svolge a Düsseldorf, ove il compositore ha assunto la direzione musicale del locale teatro. Questa infelice esperienza lavorativa acuisce la gravità di un quadro psichiatrico già avviato verso la compromissione. Schumann trascorre notti insonni in preda all’angoscia, punteggiate talvolta da fenomeni allucinatori. Così accade a metà febbraio del 1854, quando riferisce di aver udito voci notturne di spettri (forse quelli di Schubert e di Mendelssohn) dettargli una melodia meravigliosa e al tempo stesso atroce. Da questa suggestione prende corpo nei giorni successivi un Tema in Mi bemolle maggiore, seguito da una breve serie di cinque Variazioni. È durante la stesura di questo brano pianistico che, all’improvviso, Schumann lascia la propria abitazione e si reca in riva al Reno, che da oltre 25 anni costituisce un elemento cardine del suo mondo creativo, facendo da sottofondo col suo mormorio a così tanti scenari naturali e leggendari evocati in molti capolavori strumentali e liederistici. Questa volta le voci emergenti dal Reno si mescolano, infide, a quelle confuse degli stati di delirio, sicché il compositore accoglie malauguratamente il loro presunto invito a gettarsi nelle gelide acque del fiume tanto amato. Una fulminea azione di salvataggio gli consente di rientrare senza conseguenze a casa, dove porta a termine le Variazioni quasi come se nulla fosse successo. Ma l’insano gesto costituisce la svolta determinante che porta alla decisione dell’internamento nel sanatorio di Endenich, da cui non farà più ritorno.

La triste circostanza a cui sono collegate queste Variazioni ha indotto Clara a escluderle dalla sua pubblicazione integrale delle opere del marito. Solo a Novecento inoltrato esse verranno diffuse col titolo “Geister Variationen”, “Variazioni degli Spettri”, in ricordo della loro genesi.

I rapporti fra creatività e follia sono estremamente difficili da decifrare. Come per tragica premonizione, Schumann si mostra interessato all’argomento ben prima di esserne toccato personalmente. Si pensi innanzitutto alla fascinazione esercitata dal personaggio hoffmanniano di Johannes Kreisler, il direttore d’orchestra ossessionato dalla musica fino all’impazzimento, figura ispiratrice del ciclo Kreisleriana op. 16, datato 1839. In età più avanzata Schumann è uno dei pochissimi intellettuali ottocenteschi a conoscere gli scritti del poeta filosofo Friedrich Hölderlin, coetaneo di Beethoven, che trascorre gran parte della sua non breve vita rinchiuso in una torre, drastica misura di contenimento dei suoi accessi di follia. A Hölderlin, al quale soltanto il Novecento restituirà la fama e l’ammirazione che merita, Schumann si ispira per i suoi Gesänge der Frühe op. 133 (1853), i Canti del mattino che celebrano la luce aurorale come momento di liberazione dai temuti incubi notturni. Questo ciclo di cinque brani è il penultimo lavoro pianistico schumanniano, seguito poi a distanza di un anno soltanto dalle Geister, con le quali condivide alcuni tratti peculiari, come l’andamento da Corale che accomuna parti dei nn. 1 e 5 dell’op. 133 al tema delle Geister, il trattamento delle terzine (op. 133 n. 2 e Geister Variationen nn. 1 e 3), il gusto per i procedimenti a canone. Quest’ultimo aspetto, che comporta una notevole capacità di realizzazione tecnica, richiama la nostra attenzione sulla lucidità grammaticale-compositiva di Schumann, mai intaccata fino all’ultimo dal degrado dello stato mentale - lo stesso non si può dire di Hölderlin, il cui linguaggio già di per sé criptico finisce a un certo punto per decomporsi in contorsioni razionalmente incomprensibili, benché mai scevre di una misteriosa aura per così dire oracolare.

Anche l’organizzazione formale delle Geister è pienamente lineare, con le tre Variazioni dispari che giocano sulla graduale intensificazione della scansione ritmica, in terzine nella prima e nella terza, in una complessa trama di quartine nella quinta; le due Variazioni pari richiamano il più statico incedere del Corale, intarsiandolo di imitazioni canoniche, più regolari nella seconda, più frammentate ed elastiche nella quarta.

Ma è sulle scelte armoniche che ci pare di poter esporre la considerazione più sottile, forse meno scontata. Il giovane Schumann, l’esuberante rivoluzionario pianista degli anni Trenta, l’instancabile fantasioso liederista dei primi anni Quaranta, è il campione di una concezione fortemente anticonvenzionale dell’armonia, che sulla base delle intuizioni beethoveniane (specie nell’ambito delle affinità di terza) sciorina connessioni accordali stupefacenti, esplora itinerari modulanti inauditi, riformula le gerarchie portanti del sistema tonale rifuggendo dagli accademismi e avvicinando ciò che è scolasticamente lontano. Non può dunque non stupire la gravitazione armonica di alcuni passaggi di queste opere tarde, marcatamente centrata sulla più classica delle relazioni gerarchiche, quella fra Tonica e Dominante. Ci sembrerebbe decisamente inopportuno interpretare questa tendenza come una consapevole fiammata di tradizionalismo. Appare più convincente collegarla alla crescente fragilità psichica di questa fase: possiamo coglierla come drammatico segnale della presa d’atto che, a fronte di un’instabilità mentale sempre più inquietante, vengono meno le forze per sostenere i voli pindarici del passato, le esplorazioni di territori ignoti, e subentra la necessità di un appoggio ben saldo per un cammino divenuto difficoltoso e malfermo. Nel secondo brano dell’op. 133 e in alcune formule cadenzali delle Geister il flusso armonico sembra volersi avvinghiare all’asse Tonica - Dominante, come alla ricerca di certezze e di conferme che si ha il terrore di smarrire. Non si deve dunque cadere nell’errore di scorgere (o, per l’interprete, di far percepire) in queste traiettorie armoniche la reiterazione tautologica di collegamenti elementari; al contrario ci si deve sforzare di avvertire e di far emergere tutto lo struggimento di un’anima disperata nella sua estrema invocazione d’aiuto, dicotomicamente spezzata fra drammaticità latente e sorridente sobrietà d’espressione.

 

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