Schumann Project - From Recital #7
Nachtstücke op. 23
Italian commentary © Fabio Grasso
At the end of this page: Video with performance by
Fabio Grasso and synchronized formal scheme
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Verso la
metà di gennaio del 1840, poco prima della pubblicazione dei Nachtstücke op. 23, Robert Schumann scrive a Clara una lettera in cui le espone
l'intenzione di dare un sottotitolo a ciascuno dei quattro pezzi che compongono
il ciclo, già oggetto di vari scambi di vedute durante le settimane precedenti.
Ne riceve in risposta l'esortazione ad abbandonare tale intento, poiché quei
sottotitoli, frutto di pensieri troppo privati, sono certamente fascinosi e ben
comprensibili soltanto per loro due, ma potenzialmente fuorvianti e a rischio
di fraintendimenti per chiunque altro: la musica basterà a se stessa, sarà cioè
perfettamente in grado di dispiegare la sua forza espressiva senza bisogno di
ulteriori esplicazioni verbali. Il compositore segue il consiglio, e l'opera
appare col solo titolo generale di "Nachtstücke",
"Pezzi notturni", omaggio all'omonima raccolta di tetri racconti di
E.T.A. Hoffmann. È proprio sulla base di questa
relazione letteraria che si può apprezzare ancora meglio l'acume
dell'intuizione di Clara. La notte hoffmanniana è regno
del mistero, dell'occulto, campo d'azione del lato più oscuro dell'animo umano
- non a caso questo filone narrativo hoffmanniano è
da alcuni considerato antesignano dei generi horror o "noir", ed è un
riferimento cardine per E. A. Poe.
Questa
visione non può che colpire in misura significativa l'immaginazione di Schumann, specie in un momento in cui non mancano pensieri
foschi. Sugli ultimi mesi del 1839 pesa la delusione per il sostanziale
fallimento dell'esperienza viennese (in termini di riconoscimenti
professionali, non certo per quanto riguarda la produttività compositiva); lo stato di turbamento è aggravato dalla
notizia della morte del fratello Eduard, ricevuta
proprio durante la stesura di questi pezzi, che dunque sembrano destinati a
recare un'impronta lugubre, riflesso della loro fonte letteraria e della
disposizione interiore dell'autore. Il titolo inizialmente ipotizzato, "Leichenfantasie" (Fantasia macabra) viene osteggiato
dall'editore, che ne teme un impatto scoraggiante sui potenziali acquirenti. Ma
il
mutamento di prospettiva ha ragioni ben più personali e profonde: come l'ironia
di Hoffmann è capace di ribaltare di colpo le
situazioni, nei modi più inattesi, attraverso violenti e improvvisi
chiaroscuri, così nei Nachtstücke i toni cupi sono in
fin dei conti limitati alla frase principale del n. 1, misterioso ritornello che
all'ultima apparizione viene parzialmente silenziato tramite un modernissimo
meccanismo di soppressione di alcuni accordi, leggibile in chiave psicologica
come una sorta di rimozione, o un black-out intermittente dello stato di
coscienza. Ma già fin dagli intermezzi del pezzo iniziale il discorso intraprende
digressioni di crescente luminosità.
Il
percorso di uscita dalle tenebre prosegue nei bizzarri contrasti umorali del
secondo brano; qui la vivacità graffiante della sezione A, deformazione
satireggiante del refrain del n. 1, si alterna ai toni più moderatamente
scherzosi e alle proposizioni dubitative a tratti quasi smarrite dei blocchi B
e C.
È il pezzo
n. 3 a certificare in pienezza un ritrovato entusiasmo, col nobile e trascinante
slancio del suo tema principale, impreziosito dall'accostamento di due episodi
in minore, l'uno venato d'ineffabile senso di struggimento, l'altro concepito
come un piccolo Scherzo che gioca sul rapido avvicendamento di figure ritmiche
ternarie e binarie.
Il brano finale
si presenta come reminiscenza trasfigurata del primo: il suo tema caratterizzante,
pensato, a quanto risulta dalle annotazioni preparatorie, come canto di una
voce solista che si diffonde nella notte, scioglie in arpeggi le sommesse linee
accordali dell'incipit del n. 1, e ne risolve gli enigmatici interrogativi in una
melodia di rassicurante dolcezza, quasi elegante serenata notturna (per certi
versi non lontana dallo spirito del dodicesimo brano dei Bunte
Blätter op. 99).
A livello
costruttivo ogni passaggio della graduale metamorfosi che prende corpo lungo
l'opera si realizza, più o meno esplicitamente, sulla base dello stesso
materiale motivico, quello del tema con cui si apre il
primo pezzo, un semplice inciso melodico che scende per gradi congiunti -
dunque parente stretto della cellula motivica posta a
fondamento del primo tempo della Sonata in Sol minore e dell'intera Sonata in Fa
minore.
Nell'arco
del ciclo esso viene sottoposto, con altissima perizia compositiva,
a una serie di radicali trasformazioni, che consentono di dar vita a quadri
così diversi fra loro, ma al tempo stesso fortemente coesi in virtù del nucleo
originario comune.
Si
comprende dunque come il risultato complessivo vada molto oltre il dato
iniziale della suggestione letteraria: le mutevoli e misteriose figure della
notte di Hoffmann vivono di vita propria nella
narrazione musicale, seguono percorsi metamorfici del tutto autonomi, tracciati
non solo dall'estro dell'immaginazione, ma forse qui ancora di più da una
tecnica di scrittura ampiamente collaudata, a lampante conferma della
previsione di Clara: "la musica da sola dirà molto di più" di
qualsiasi descrizione supplementare.
L'ascolto
dell'esecuzione qui sotto incorporata è supportata dalla componente video che
consente di seguire passo per passo lo snodarsi degli articolati schemi formali
a incastro di ognuno dei quattro pezzi.
EMBEDDED
VIDEO